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Sustainable Campuses as a key to future development

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Reports show that SDGs are not known by middle management, and CSR is not fully taken to its potential unless management buys in the moral purpose, and not only as the license to operate. Let’s start by investing in a sustainable campus, and seeding our closest future leaders. I recommend you register to the 2nd International Symposium on Sustainable Campus.

The program is very rich, and susan george and I will share a workshop introducing Theory U and some tools to facilitate ego to eco-system transformation.

Conference link, and registrations: https://www.haw-hamburg.de/en/ftz-nk/events/florence2018.html

When: Tuesday 11 December – 17:15 – 19:00 U.lab Social Innovation Hub training in University Campuses Elena Piani, and Susan George. Piani Projects and University of Florence, Italy

Where: University of Florence,  Aula Ostensio Del Giardino dei Semplici (Botanical Garden) – Via Micheli 3 Florence

Workshop brief: Building upon two decades of action research at MIT, Theory U shows how individuals, teams, organizations and large systems can build the essential leadership capacities needed to address the root causes of today’s social, environmental, and spiritual challenges. In this workshop we will share the five movements and seven essential leadership capacities reinforced through the U process, allowing a shift in consciousness from ego-system to eco-system awareness. The workshop will also involve the experimentation of some tools of the U.lab platform available on MOOC and in person programs. Further information is available at https://www.presencing.org/#/aboutus/theory-u and https://www.presencing.org/#/programs/course/landing-page/ulab_1x/at_a_glance

#sustainability #education #universities #csr #sdgs #circulareconomy #campus #sustainabledevelopment #presencing #ulab


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La sintesi della CSR

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La CSR è per alcune imprese è quella “pietra che è stata rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare” (adattato da Atti 4,11), ma forse prima serve credere che se “gettiamo la rete al lato destra della barca, troveremo pesce” (adattato da Gv 21, 1-14).

Prima iniziamo a ragionare e compiere piccoli passi verso l’istituzione di buone pratiche in input e processi, maggiori le chance di output e di outcome, ovvero di un impatto ambientale-economico e sociale dell’essere impresa in un contesto specifico mondiale (vedi SDGs).

Vale la pena investire e non pensare che la CSR sia un costo, perché abbiamo la possibilità di essere competitivi sui prodotti e migliorare il posizionamento del brand, nonché di entrare in un sistema che alimenti il bene comune di cui facciamo parte dalla terra, all’individuo, alla società.

Sicuramente l’impresa ha obblighi legali di cosa portare a bilancio, ma c’è tutta un’altra parte volontaria che l’impresa sceglie di aggiungere. Su quest’ultima nota infatti, si è iniziato è iniziato a inserire come pratica, il bilancio integrato, ovvero un sistema di rendicontazione delle performance economiche, sociali, ambientali, sintetizzato all’interno di un’unica pubblicazione coincidente con il bilancio d’esercizio o il bilancio consolidato di una società. Rappresenta un’evoluzione della rendicontazione di sostenibilità.

La CSR è un’opportunità di innovazione e cambiamento culturale necessario per riportare il valore allo sviluppo economico e sociale, garantendo il connubio con l’ambiente.

 


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Esistono Certificazioni della CSR?

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Oltre che alle numerose certificazioni legate alla qualità rilasciate da enti come Bureau Veritas, DNVGL e TUV (basta pensare alla SA8000, ISO 9001:2008, ISO 14001 etc) che si possono inserire nei bilanci di sostenbilità d’impresa a dimostrazione dell’impegno dell’impresa verso i suoi stakeholders, esiste anche la ISO 26000 che però non è certificabile, ma bensì uno standard di riferimento e molto ambizioso.

Da due anni la Bocconi rilascia le certificazioni alle imprese performanti sulla CSR. Bocconi, J.P. Morgan Private Bank, PwC, Thomson Reuters e Gruppo 24 ORE hanno stretto un accordo triennale con la finalità di premiare le migliori aziende che creano valore economico, tecnologico, umano, sociale e ambientale, operando in modo complessivamente sostenibile.

E’ nato quindi il Best Performance Award, il premio annuale dedicato alle imprese italiane, che si distinguono per l’eccellenza nello sviluppo sostenibile inteso in un’accezione ampia, ovvero come la capacità di fare impresa garantendo la continuità aziendale (condizione necessaria) nel rispetto di:

· dimensione umana e ambientale (Green & Social),

· innovazione (Innovation & Technology)

· gestione economica (Value Added)

Poi ci sono gruppi di lavoro che aderiscono ad esempio al Global Compact Network Italia che si impegnano al raggiungimento degli SDGs, poi ci sono le certificazioni per i bilanci sociali migliori (Oscar di Bilancio FERPI) e tante altre opportunità di visibilità (reputation building) come l’ultimo che ho visto apparire “Green Carpet Fashion Award” e contestato perché percepito come “greenwashing”. Il trend è in crescita, dipende qual’è il nostro target di comunicazione, a chi vogliamo comunicare il nostro impatto socio-economico-ambientale, e quindi il nostro “purpose”, ovvero lo scopo dell’essere impresa responsabile e sostenibile.

 


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E tu quale società vuoi?

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I tempi di realizzazione sono lunghi perché viviamo nel cinismo, paura e giudizio. I processi sono complessi perché prevedono collaborazione di attori che non abbiamo mai coinvolto. Il ritorno economico non è immediato, ma i trend dimostrano che investire nella civiltà, e nel senso di cittadinanza attiva, è la via per un’impresa sostenibile.

Occorre avere un CSR manager, alle dirette dipendenze dell’alta direzione, che sia visionario, innovativo e consapevole delle sfide e opportunità del mercato diretto e indiretto e degli stakeholder, che non faccia solo auditing, ma che conosca il sistema impresa e l’impresa stessa, comprenda l’imprenditorialità e le normative, che sappia ascoltare e coinvolgere, che sappia relazionarsi e influenzare la strategia, dovrebbe avere un portafoglio (budget) e delega per esercitare un potere decisionale e non solo informativo o consultivo.

Nel tempo stimo che la CSR è una funzione che sarà assimilata nella visione strategica e cultura d’impresa, distribuita al middle management funzionale e divisionale, e partecipata dal personale dipendente e catena di fornitura.

Contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio, della nazione e del pianeta, è una responsabilità che non spetta solo ai vertici, ma a tutti i livelli d’impresa, come anche a tutto l’ecosistema di cui esso fa parte.

 


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Il cause-related marketing o la beneficenza sono CSR?

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Il cause-related marketing consiste nel dedicare una percentuale (o anche un importo definito in partenza, ad esempio, 1 Euro etc.), dei ricavi delle vendite di un prodotto o servizio ad un ente not-for-profit, vuol dire avviare una campagna marketing che è dedicata a sostenere una buona causa. Il primo programma di cause related marketing (CRM) è stato realizzato nel 1983 dalla business unit Travel-Related Services di American Express, in occasione di un progetto a supporto del restauro della Statua della Libertà. In tale circostanza American Express promise di donare un penny per ogni transazione effettuata attraverso le carte di credito e un dollaro per ogni nuova carta registrata nei primi tre mesi del 1983, effettuando in tal modo una massiccia campagna di comunicazione diretta tanto ai clienti esistenti quanto a quelli potenziali. I risultati furono sorprendenti, American Express registrò un incremento del 28% nell’uso delle carte di credito rispetto allo stesso periodo del 1982 ed un notevole incremento delle nuove adesioni. Il contributo che American Express diede ad Ellis Island Foundation, per il restauro della Statua della Libertà, fu di 1,7 milioni di dollari.

Se portiamo questo esempio ad oggi, con le ultime statistiche possiamo stimare che avviare una campagna CRM, possa far si che le vendite aumentano del 50%, e che porti con se sempre dei benefici anche sociali.

Il ritorno economico per le imprese è doppio, sia l’aumento dei ricavi, ma anche la possibilità di poter prendere vantaggio di agevolazioni fiscali. Il Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, art. 83), ha istituito una detrazione dall’IRPEF pari al 30% degli oneri sostenuti dal contribuente per le erogazioni liberali in denaro effettuate con modalità tracciabili o in natura, a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, per un importo complessivo dell’erogazione non superiore a 30.000 euro in ciascun periodo di imposta. La detrazione è elevabile al 35% qualora l’erogazione liberale in denaro sia a favore di organizzazioni di volontariato. La detrazione è consentita, per le erogazioni liberali in denaro, a condizione che il versamento sia eseguito tramite banche o uffici postali ovvero mediante altri sistemi di pagamento tracciabili. È stata inoltre prevista una deduzione nei limiti del 10% del reddito complessivo dichiarato da enti e società o da persone fisiche.

Questa azione potrebbe essere quindi giudicata strumentale, ma è comunque anche morale. La mancanza di una più profonda moralità si presenta qualora l’impresa non dichiari quanti ricavi reali ha avuto, e magari non devolve in beneficenza tutto quello che prometteva, perché aveva preventivamente stabilito un minimo e non valutato il potenziale ritorno economico massimale per entrambe.

L’altra opportunità mancata, è di creare una partnership con le ETS (enti del terzo settore, ovvero le no-profit). Un partnership per definizione è un rapporto di media-lunga durata, e non un evento “one-off”. Vuol dire che l’impresa si impegna a rinnovare il progetto, operazione o collaborazione con l’ente no profit, e si cresce insieme. Si perchè anche il profit, ha molto da imparare dalle no-profit. Le profit possono aiutare le no-profit a organizzare la loro struttura (prestare ore pro-bono per migliorare la gestione delle risorse umane, aiutare con il bilancio economico, consulenze legali etc), assistere a capire come migliorare la comunicazione e il coinvolgimento dei volontari, reperire volontari nella sua impresa (e potrebbe riconoscere e anche valorizzare una prestazione di volontariato retribuita), donare dei suoi prodotti obsoleti per l’impresa (esempio PC o altro), ma non per l’uso della no-profit, o facilitare la messa in rete con altre imprese del territorio, a cui la no-profit può ulteriormente offrire dei suoi prodotti o servizi, specialmente se a scopo sociale. Qui si introduce un discorso più ampio, di filantropia strategica e di creazione di valore condiviso che dovrò esplicare in un successivo articolo.

 


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Qual’è il rapporto tra consumatore eco-equo e impresa responsabile?

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Ed è su quest’ultima nota che si apre lo scenario reale. È proprio il consumatore che sta portando, grazie alla sua propensione verso un rispetto ambientale e sociale, all’acquisto di prodotti o servizi da imprese che producono in maniera sostenibile.

Secondo la ricerca Nielsen Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability 2015 prestigioso istituto di ricerca a livello mondiale, i consumatori di tutto il mondo stanno privilegiando, sempre più gli acquisti da quei marchi che si impegnano per un cambiamento sociale e ambientale positivo. Il 66% dei consumatori dichiara di essere disposto a pagare di più per un brand “responsabile”, con un trend in crescita dal 55% del 2014 e dal 50% del 2013.

Gli italiani sono allineati con la media europea, con il 52% dei consumatori che riconosce un prezzo maggiore ai prodotti che offrono questo beneficio collettivo e si tratta di un trend in continua crescita, In Italia, peraltro, gli aspetti legati alla protezione dell’ambiente risultano più importanti di quelli legati all’impatto sociale: il 41% ha acquistato il prodotto perché la società produttrice è nota per essere amica dell’ambiente e il 38% per la confezione a basso impatto ambientale. I valori sociali sono distanziati, con il 33% di scelta per l’impegno sociale e il 31% per l’impatto diretto sulla propria comunità.

In breve, i consumatori stanno impiegando il loro potere d’acquisto per supportare brand che riflettono i loro valori e preferenze. Il consumatore richiede sempre più prodotti buoni: buoni per l’acquirente e buoni per la comunità e l’ambiente. La connessione con i consumatori è dunque fondamentale a questo livello, ed è essenziale per costruire la fedeltà del marchio in un panorama competitivo e dinamico con ritmi serrati.

Il trend in continua crescita rappresenta un’opportunità per i produttori, sia in termini di maggior potenziale di fatturato che per creare le basi per una crescita sostenibile dell’azienda stessa.

 


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Change Management per la DI VITTORIO Coop. Soc. – Identità organizzativa e Engagement 30% popolazione aziendale

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Identità organizzativa e Engagement per la DI VITTORIO Coop. Soc.

Un anno di lavoro, oltre 300 ore di aula e 100 desk, il tutto per rivedere l’identità organizzativa della cooperativa sociale G.Di Vittorio (tipo A+B), la più grande in Toscana con oltre 40 milioni di fatturato e 1500 dipendenti. La cooperativa, giunta al suo 40mo compleanno, desideravo coinvolgere i dipendenti sui diversi servizi agli anziani, all’infanzia, ai disabili e ai malati mentali e emarginati in generale, per condividere il percorso fatto fino ad oggi e seminare per il futuro della cooperativa.

Il progetto si è articolato in 7 fasi

  1. Board engagement e definizione della Visione, Missione e Valori.
  2. Coinvolgimento e rivisitazione dell’identità con proposte progettuali del primo livello (creare ambasciatori del cambiamento organizzativo).
  3. Coinvolgimento di oltre 200 risorse da tutti i servizi in diversi territori per coinvolgerli e ricevere una restituzione delle emozioni e delle progettualità (creare agenti di cambiamento)
  4. Formazione sulla comunicazione interna e ri-organizzazione delle risorse tra gli uffici e sedi.
  5. Accompagnamento dei gruppi di affinità Welfare e Comunicazione.
  6. Definizione del Brand Book per creare armonia nella comunicazione organizzativa.
  7. Report finale conclusivo del percorso e raccomandazioni.

Un progetto ambizioso, ma bellissimo per l’energia sprigionata e anche un nuovo buy-in dei soci e dipendenti dell’organizzazione. Quando un’organizzazione cresce, è facile non comprenderne le decisioni strategiche e anche perdere di vista la ragione fondante del perché fosse stata fondata, dalle persone, in particolare donne, per le persone. I risultati economici contano anche per il settore no-profit, e le cooperative sociali sono sempre più chiamate a rendicontare non solo sugli impatti sociali, ma chiaramente a performare con efficienza ed efficace.

Il progetto si è concluso con la celebrazione del 40 anniversario a Massa Carrara e una brochure di sintesi con anche la timeline organizzativa celebrando le tappe di sviluppo e successo negli anni!

Lo sviluppo del territorio e paese si fonda su questi stakeholder, e con l’arrivo del privato, le cooperative sociali di tipo B devo essere competitive. La G. Di Vittorio è una grande organizzazione.

Ringrazio la Presidente Antonella Oronte e la Vicepresidente Lorella Masini per la fiducia accordata. Ringrazio anche l’agenzia formativa Pegaso per averci seguito nel percorso e il collega Massimo Borgatti per la co-docenza.